Viaggiando durante una pandemia: “L’anno dell’alpaca” di Giammarco Sicuro
«Il reporter non si separa mai dal proprio bagaglio, perché continua sempre ad andare avanti, di rado torna indietro. Deve portare sempre con sé i suoi averi, ogni oggetto è zavorra. Più leggero è il bagaglio, più lontano si arriva», scrive Ryszard Kapuściński in Autoritratto di reporter. Non a caso, citato in esergo a uno dei capitoli de L’anno dell’alpaca. Viaggio intorno al mondo durante una pandemia del giornalista Giammarco Sicuro, inviato speciale della redazione Esteri del Tg2. Il libro è l’arguto e brillante racconto di un viaggio iniziato, per vacanza, in Perù nel febbraio del 2020 e continuato, un po’ per caso un po’ per necessità e un po’ per lavoro, per altri otto mesi, attraverso tre continenti (America Centro-Meridionale, Europa e Asia) e sei Paesi (Perù, Bolivia, Spagna, Corea del Sud, Messico e Brasile), al seguito di un evento epocale e drammatico quale la pandemia da Covid-19. Diario di viaggio, dunque, ma anche moderno libro d’avventura, scandito da un tempo non diacronico, con salti temporali in avanti e all’indietro, una scelta stilistica che serve a conferire dinamismo e vivacità al racconto e che consente di introdurre i personaggi in maniera più accattivante, presentandoli “in medias res”, in modo che il lettore possa scoprirli gradualmente e progressivamente man mano che la narrazione procede. Taluni di questi personaggi hanno una personalità talmente spiccata e sono descritti da Sicuro con una tale vividezza da restare impressi nella memoria in modo indelebile, sono per lo più i vari collaboratori locali, i cosiddetti “producer”, di solito giornalisti o cameramen del post, che affiancano Giammarco durante il suo lavoro in giro per il mondo. Mariano, Joaquin, Miriam, Joelma, Jay, compagni di lavoro e di viaggio, ma anche nuova e improvvisata “famiglia”, per l’autore costretto a trascorrere lunghi mesi lontano dagli affetti più cari. Ma Giammarco può contare anche sul supporto di due caratteristici animali andini, un alpaca e un lama, in versione peluche, presi come souvenir e ribattezzati con i nomi delle due signore latrici del dono, rispettivamente Isabela e Esmeralda. Con loro Giammarco parla e si confida, un po’ come faceva col pallone Wilson il naufrago Tom Hanks nel film Cast Away. «Così, mentre annuisco perdendomi in quella distesa monocolore di giganteschi tronchi, rifletto su quanto assurdo sia tutto questo: la pandemia, la mascherina che indossiamo (e che Gabriel porta ancora sotto al naso) e questo mio viaggio iniziato otto mesi prima in Perù e che ora continua, ininterrotto, sempre in Sudamerica, ma questa volta a rincorrere storie di indios contagiati e braccati», è la frase riportata in quarta di copertina. Una frase che ci proietta immediatamente dentro uno dei temi cruciali del libro: l’emergenza pandemica è tanto più grave là dove lo Stato latita, la democrazia non è garantita e la corruzione e i soprusi la fanno da padrone. Quello di Sicuro è racconto sociale, inchiesta giornalistica, denuncia. In Brasile documenta, al seguito di un cacciatore di fuochi, la distruzione deliberata e sistematica della foresta amazzonica. Lo scopo è quello di far spazio alla coltura intensiva della soia, di cui il Brasile è rapidamente diventato il primo produttore al mondo, da smerciare poi sul mercato internazionale, specie quello cinese. Il mezzo per raggiungere tale fine, può essere, perché no, anche il Covid-19, usato come vera e propria arma per decimare, o comunque indebolire, le tribù locali, al fine di sottrarre loro le terre. Sicuro racconta di tribù indigene ridotte ormai a poche centinaia di individui, spesso vittime di soprusi da parte delle forze dell’ordine brasiliane, che compiono incursioni nei villaggi, minacciando e contagiando gli indigeni, i quali quando si ammalano, non ricevono dallo Stato alcuna assistenza. La scomparsa di queste minoranze etniche significherebbe la perdita di un patrimonio linguistico e culturale unico al mondo: in pratica scomparirebbero per sempre le peculiari etnie che da tempo immemorabile abitano, in totale simbiosi con la natura, la rigogliosa foresta amazzonica. Nell’aprile del 2020 la Spagna, che non ha saputo fare tesoro di quanto, qualche settimana prima, era accaduto in Italia, «è diventata uno dei fronti più drammatici di questa pandemia». Nell’ospedale di Aranjuez, comune a sud di Madrid, Giammarco incontra Cinzia, medico milanese, primario del reparto di terapia intensiva. «Non vedo il suo volto e non lo vedrò mai, ma è sufficiente uno sguardo per capire molte cose. Gli occhi di Cinzia parlano e in un attimo lei ha già dato una risposta a ciò che volevo sapere». Seguiamo così il racconto commosso della giovane dottoressa: «L’ospedale è pieno e dobbiamo scegliere tra chi ha più possibilità di sopravvivere e chi no. È una selezione che avviene sulla base di dati scientifici: età anagrafica, patologie pregresse, probabilità che quel paziente possa farcela… […] Lo chiamiamo triage estremo, scegli chi curare e gli altri restano fuori». Una prassi che deriva direttamente dalla medicina di guerra. D’altra parte la pandemia è stata spesso paragonata a una guerra, e della guerra ha fatto registrare i numeri agghiaccianti. A Manaus, capitale dello Stato di Amazzonia, nell’ottobre 2020, Giammarco visita l’area del cimitero cittadino dedicata ai morti di Covid-19, dove si seppelliscono fino a centoquaranta persone al giorno. In quel periodo il Brasile si trova al centro della pandemia e quello di Amazzonia è uno degli Stati più colpiti al mondo per numero di contagi e vittime. Gli esperti avevano predetto l’ecatombe già ad aprile, ma il governo Bolsonaro aveva fatto orecchie da mercante e invece di aumentare le misure restrittive le aveva allentate, e quando ad agosto gli scienziati avevano nuovamente dato l’allarme, il governo aveva annunciato un programma per il rilancio del turismo. Scrive Giammarco: «Mi colpisce il fatto che le buche siano già pronte. Una lunga fila di fosse comuni, perché di questo si tratta. “Le preparano al mattino, prima dell’alba. Così, sono pronte quando cominciano ad arrivare i carri funebri”, mi sussurra all’orecchio Carolina. Gli uomini di Bruno estraggono la cassa dall’auto: è avvolta da un materiale plastico isolante, come si fa con le valigie in aeroporto… la sepoltura avviene in fretta e a una velocità sconcertante. Il team di Bruno si muove con esperienza e si capisce che sono ormai abituati a farlo. Nel contesto, manca totalmente la sacra ritualità tipica di questi momenti ed è tutto così asettico, senza spazio per la riflessione». In Corea del Sud Sicuro sconta e documenta una paradossale quarantena, iniziata con un tragicomico incidente, dovuto a un’incomprensione linguistica, appena arrivato all’aeroporto di Seoul. Inconvenienti dei quali Giammarco sa ridere e così, il tono della narrazione, anche nei momenti più drammatici, riesce a conservare una leggerezza che non è mai superficialità, ma bisogno di esorcizzare la paura o l’orrore con una risata, che è tanto più salvifica quanto più è capace di suscitare empatia. Lo sguardo dell’autore resta sempre profondamente umano, sensibile al dolore delle persone – specie le più fragili e indifese – e degli animali. Non è un caso che il libro abbia ottenuto il patrocinio dell’Unicef poiché tante sono le storie di bambini in esso contenute, da quelli che a causa della pandemia hanno visto peggiorare enormemente le loro condizioni di vita a quelli che grazie alla propria inventiva hanno saputo mettere in atto forme di riscatto sociale o trovare piccole ma importanti soluzioni per far fronte all’inconsueta emergenza. L’anno dell’alpaca è un viaggio in un mondo assediato sì dalla pandemia ma che racconta tante storie, alcune drammatiche, altre leggere o surreali, altre ancora eroiche e straordinarie. Tutte in grado di farci riflettere sulla situazione che abbiamo vissuto, e, sia pure in una fase diversa, stiamo ancora vivendo. Ed è anche il ritratto, a volte molto intimo, di un uomo che dall’essere inizialmente cronista per caso (in quanto tutto è iniziato, ricordiamolo, mentre Sicuro si trovava in vacanza) ha poi scelto di avventurarsi nel rischioso territorio di un morbo sconosciuto, mentre il resto del mondo, smarrito e sgomento, si chiudeva in casa, consapevole del privilegio e dell’onere di farsi testimone diretto al cospetto di un evento epocale, che la nostra generazione rubricherà come memorabile spartiacque tra un tempo pre e post pandemico.
Giammarco Sicuro, L’anno dell’alpaca. Viaggio intorno al mondo durante una pandemia, Gemma Edizioni, 2021, pp. 376, euro 18,00