Catania ha appena finito di omaggiare il suo “Cigno” con ben due festival dedicati a Vincenzo Bellini e organizzati dal Teatro Massimo che, in questi giorni di ottobre, offre al suo pubblico l’ultimo allestimento di recupero della stagione 2020/21, Tosca di Giacomo Puccini, in scena fino al 3 novembre. Giacomo Puccini impiegò quattro anni per musicare La Tosca dopo aver completato Boheme; opera questa che risultò molto differente dalla precedente. Il dramma storico che inneggia alla libertà e sublima l’amore e il sacrificio, che Puccini musicò dall’opera in cinque atti di Victorien Sardou “La Tosca“, su libretto di Illica e Giacosa, venne rappresentato per la prima volta il 14 gennaio 1900 a Roma, perché a Roma è ambientato La vicenda prende spunto dagli avvenimenti rivoluzionari della Francia, e la caduta della prima Repubblica Romana in una data ben precisa: sabato 14 giugno 1800, giorno della Battaglia di Marengo. Il barone Scarpia –uno dei grandi cattivi della storia dell’opera- è il dispotico capo degli sbirri del regime tirannico papalino, e usa la sua posizione per esercitare due grandi passioni: sadismo e lussuria. Sulla sua strada si incontrano la bellissima Floria Tosca, cantante seducente, innamorata e devota, e il cavaliere Mario Cavaradossi, pittore e rivoluzionario liberale che aveva aiutato nella fuga dalle prigioni pontificie di Castel S.Angelo, il ribelle Angelotti. Nella chiesa di Sant’Andrea della Valle, dove è ambientato il primo atto, il barone fa scattare la trappola con la quale riuscirà a fare cadere entrambi e l’esca sarà la gelosia di Tosca. Nel secondo atto il barone concupisce Floria per la sua lussuria, la brama, brucia per lei di desiderio e passione e baratta con lei la liberazione e la salvezza di Mario. Anche questa è una trappola ma Floria cede, lo illude di concedersi in cambio del lasciapassare per lei e il suo amante. Lo illude perché Floria non può dare il suo corpo, la sua passione a chi la usa come oggetto di piacere e di possesso. Floria sceglie la libertà a tutti i costi e uccide Scarpia, pugnalandolo al cuore nel momento in cui lui si aspetta l’amplesso. Ma il suo gesto non è solo riscatto di una donna, “davanti a lui tremava tutta Roma”, il recitativo col quale l’eroina con le mani insanguinate commenta il suo gesto. Poco prima era giunta la notizia della vittoria di Napoleone sugli austriaci a Marengo Ma Scarpia aveva già ordito il suo ultimo crimine, una vendetta inconsapevole; Mario verrà fucilato, davvero, contraddicendo la promessa che aveva fatto a Floria. Floria disperata non potrà fare che un’ultima scelta: morire gettandosi dal cortile di Castel Sant’Angelo dove Mario è stato giustiziato. Per la prima volta Puccini, il musicista del sublime, dei sentimenti delicati e delle sfumature più profonde dell’animo umano, si cimentò qui con un dramma storico e diede prova di saper affiancare alla dolcezza della sua melodia anche tinte forti e sonorità impetuose. La sua musica si fa potente, sembra accennare alla intensa musicalità di certi quartetti verdiani, si concede duetti ritmati e intensi, passaggi epici e solenni come il Te Deum del finale del primo atto dove l’ossessiva ripetizione armonica, con le campane -suonano due note gravi, si bemolle e fa- che si alternano per diversi minuti, i colpi di cannone fuori scena, il salmodiare in latino si fonde e dà corpo al soliloquio di Scarpia, un fondale sonoro su un crescendo drammatico che è accentuato dal contrasto fra sacralità e voluttà.