Dal 5 al 7 maggio al Piccolo Teatro della Città di Catania
Di Luana Rondinelli | con Donatella Finocchiaro, Luana Rondinelli, Giovanna Mangiù |scene e costumi di Vincenzo La Mendola, regia Luana Rondinelli
Il lamento (funebre) delle malmaritate
Una bara a scena aperta. Aperta anche la bara (il pubblico entra e fa gli scongiuri), come si usa nelle veglie funebri. Tre donne, sorelle si preparano a trascorrere la notte attorno alla bara per vegliare il morto prima del funerale, il marito di una delle tre.
Cominciano a recitare il Rosario e già da questo primo passaggio notiamo nel testo scritto da Luana Rondinelli, echi letterari riconoscibili, come De Roberto, col suo racconto Il rosario, Tomasi di Lampedusa o Nino Martoglio, incentrati sul momento collettivo della preghiera che diventa momento di confronto, condivisione e scontro.
Il testo scorre veloce nel dialogo a tre voci strutturato come un carosello dove i ricordi, i dolori, le recriminazioni, le riflessioni si alternano tra momenti divertenti con battute sarcastiche e piccanti, e altri molto dolorosi dove le tre donne confessano il disagio di una vita fatta di umiliazioni, sopraffazione e violenze domestiche. Tre caratteri diversi, sorelle in contrasto tra loro con un destino in comune: essersi illuse, aver creduto in un amore (“l’ammore”) rivelatosi poi una grande delusione. Costrette al silenzio, per pudore, per ipocrisia, per necessità, hanno nascosto a tutti e a loro stesse le realtà, “avi na vita ca fincemu”, come taddrarite, pipistrelli che vivono al buio, perché “u scuru cummogghia”. I lividi si nascondono, e a chi se ne accorge si risponde con una scusa: lo sportello, la porta, le scale… “sbadata sugnu”.
Adesso la morte -forse non del tutto voluta dal fato- le ha liberate dell’ultimo uomo violento, il marito della più piccola.
In questa notte di veglia, tra finti pianti e ricordi veri le tre sorelle sciolgono i rancori pregressi e stringono un nodo nuovo, di solidarietà, di complicità, in vita e anche in morte. Loro, madri di figlie femmine, decidono di rompere la catena, di insegnare alle nuove generazioni a non accettare, non sopportare, non sottostare a nessuna prevaricazione, a nessuna violenza.
Anche la memoria di quegli uomini violenti che sono stati i loro mariti deve essere cancellata. Cercano una foto da portare al cimitero, per la lapide e, dopo aver passato in rassegna varie possibilità ne scelgono una, quella sfocata, quella che non si vede. Piccola, giusta, ultima vendetta.
Le malmaritate hanno vinto la battaglia del riscatto e, nella maternità, spezzeranno la catena.
La regia, della stessa Rondinelli, dà corpo con sapienza all’equilibrio del testo che va dal comico al tragico, incentrato su tre assi portanti: le tre attrici Giovanna Mangiù, Donatella Finocchiaro, e la stessa Rondinelli. Franca, Rosa, Maria, diverse ma speculari, ognuna con le proprie corde, più cupe, più dimesse, più serie, più ribelli. Tre strumenti accordati su una stessa nota che, alla fine, diventerà un moto di liberazione.
Una vera gara di bravura, un’ intesa di sguardi e di movimenti in un’ esplosione di femminilità, grazia, sensualità e denuncia. Un’ora di spettacolo che diverte fino alle lacrime e commuove fino alle lacrime.