Santi, profughi, eremiti: “La solitudine rocciosa”, un saggio di Giovanni Russo
Ancora una volta – dopo «La Valle dei Monasteri, Viaggio nel Mercurion attraverso Carte Greche dell’XI secolo e Guida ai Monasteri del Mercurion» – Giovanni Russo, con la precisione dello storico e la passione del narratore, ci conduce in vicende e luoghi che vedono la Calabria riprendere un ruolo centrale nelle relazioni con il Mediterraneo Orientale ed il Mondo Greco dopo i secoli bui del tardo Impero Romano. Il suo ultimo lavoro, infatti – «La solitudine rocciosa – Le radici della cultura monastica nel Mediterraneo: il Mercurion» – analizza le vicende storiche e sociali del territorio tra Calabria e Basilicata: la Valle del Lao, la via istmica dell’Argentino ed il bacino del Mercure. E lo fa sulle tracce documentali ed i resti monumentali della Eparchia Monastica del Mercurion. L’analisi parte dal IV secolo fino alla completa latinizzazione normanna nel XII secolo ed ha per ambito un territorio nel VI secolo ormai pressoché disabitato: i terreni coltivati hanno ceduto al bosco e le civitas/poleis costiere sono state abbandonate (recenti ricerche effettuate su carotaggi nel terreno hanno stabilito che all’epoca la presenza antropica in Calabria era molto marginale e concentrata in poche aggregazioni cittadine). Eppure questo territorio, proprio per le sua selvaggia solitudine e le sue impervie montagne di confine tra il massiccio del Pollino, il Cilento e lo Jonio, diventa, nel VII secolo, meta d’elezione di un flusso di santi profughi che dopo una lunga peregrinazione attraverso l’Anatolia e la Grecia, trovano qui rifugio sicuro. Sono Monaci Cristiani Melchiti in fuga dalla Siria dopo la conquista persiana. Questo primo insediamento conferma i forti legami caratterizzanti, anche in secoli bui, le relazioni tra Calabria e Koiné Greca. Testimone di questa presenza è un prezioso riscontro monumentale, sopravvissuto fino ai nostri giorni: la Chiesa di Santa Maria di Mercuri, in territorio di Orsomarso, prossima alla Motta longobarda che sorveglia la confluenza dei fiumi Lao ed Argentino. A questo primo insediamento, confermando l’ininterrotto flusso di relazioni con l’Oriente Greco, seguiranno altri due ulteriori flussi migratori che vedranno quest’area – l’Eparchia del Mercurion – progressivamente ripopolarsi aggregando intorno ai monasteri presenze sempre più consistenti di contadini ed artigiani. Il primo flusso di monaci dalla Siria mantiene ancora il fondamentale tratto ascetico caratteristico dei primi secoli nel deserto di Alessandria: in prevalenza eremiti che si rifugiano nelle numerose grotte della zona affiancando alla preghiera ed alla meditazione le tradizionali attività della copia di codici liturgici e della «scrittura» delle icone. Solo la celebrazione dei riti avviene in comune e la vita sociale è regolamentata dalle norme della Esichia, un ascetismo moderato diremmo oggi. Una seconda migrazione avviene nell’VIII secolo a seguito della iconoclastia decretata dall’Imperatore Leone III Isaurico. La ferita aperta da questa polemica teologica e dalle conseguenti persecuzioni fa si che un numero stavolta molto più consistente di monaci fugga alla volta della Calabria, proprio nell’area del Mercurion, già nota agli ordini monastici per la precedente migrazione melchita e, soprattutto, fuori dal controllo di Costantinopoli e, quindi, dei decreti imperiali. Il Thema bizantino di Rossano, infatti, si limitava alla parte meridionale ed orientale della Calabria; l’area del Mercurion, come tutta la costa occidentale fino ad Amantea era sotto la dominazione longobarda. Questa seconda, più consistente migrazione porta con sè importantissime novità. Il monachesimo romantico degli inizi nel deserto alessandrino ha lasciato il posto a forme più strutturate di vita comune, i c.d. cenobi, e con esse allo studio metodico delle scritture ed alla copia di codici (è coevo il Codex purpureus di Rossano). Accanto a questa attività che potremmo definire rituale, i nuovi venuti portano conoscenze sperimentate di governo/utilizzo delle acque, di tecniche agricole (con l’utilizzo regolato del fuoco per disboscare) e di allevamento del bestiame. Conoscenze queste che consentono una progressiva agglomerazione, intorno ai monasteri, di primi nuclei dei successivi centri abitati strutturati. Questo riorganizzarsi civile trova il suo culmine con la terza migrazione. Anche stavolta di monaci che sotto la minaccia della espansione araba in Sicilia– ed ancor prima della conquista musulmana dell’isola – fondano altri nuovi cenobi tra le sicure pareti rocciose del Mercurion. Questa terza ed ultima migrazione – proveniendo da una regione che, dopo la caduta dell’Impero d’Occidente, aveva mantenuto inalterate relazioni commerciali con i paesi del Mediterraneo ed aveva continuato a sviluppare conoscenze e tecnologie – consentirà a tutta l’area del Mercurion un incremento esponenziale non solo delle attività tipicamente monastiche (studio e copia di codici e di testi classici, scrittura delle icone, affreschi) ma anche di quelle più propriamente legate al governo del territorio con l’utilizzo di più avanzate tecniche di coltivazione, irrigazione ed utilizzo delle acque per attività produttive, ad esempio i mulini, o per lo smaltimento dei reflui di ogni genere, organici e da produzione. In questo contesto storico l’Autore sviluppa la narrazione sulla scorta di un solido, ampio e ben strutturato corredo documentale e bibliografico. Ma anche – e sta qui la novità di questo lavoro – con una analisi puntuale dei luoghi e dei riscontri monumentali, con una sezione dedicata alla presentazione di quattro monasteri in Area Mercuriense: il Monastero di Sant’Elia, il Monastero di Vena, la Chiesa del Santissimo Salvatore ed il Complesso Monastico di San Pietro Lo Grasso. Alla descrizione dettagliata e corredata di piantine, schizzi e vecchie immagini dei luoghi, si aggiungono i suggestivi scatti di Pietro Rotondaro, profondo conoscitore del territorio e da sempre occhio fotografico di Giovanni Russo (ricordiamo lo splendido volume Guida ai Monasteri del Mercurio edita da Rubbettino). Un saggio storico, quindi, che ha il respiro della colta passione del suo autore, da leggere proiettandosi in quella «solitudine rocciosa». Magari immaginando di ascoltare, in lontananza, voci che si levano, da un mattutino, ad intonare il «Cherouvikon» di S. Athanasios.
Giovanni Russo, «La solitudine rocciosa – Le radici della cultura monastica nel Mediterraneo: il Mercurion», Ed. Ferrari 2023, euro 23,74