Il festino del Tempo: “Il tango delle capinere” di Emma Dante

Il festino del Tempo: “Il tango delle capinere” di Emma Dante

Noi siamo seduti nel tempo
e il tempo in noi cammina
noi nel tempo avanziamo
e il tempo in noi arretra
noi nel tempo cadiamo a terra
e il tempo continua la sua strada…


Garous Abdolmalekiān

«Il tango delle capinere» di Emma Dante o del tempo andato. Lo spettacolo – che per inciso è un approfondimento di «Ballarini» incluso ne «La Trilogia degli occhiali» del 2011 – declina in una straordinaria performance, tra circo e cabaret, nei gesti, nelle contorsioni, nelle evoluzioni, nelle esagerazioni, negli spasmi, nei tic, nelle ipocondrie e nel linguaggio essenzialmente del corpo, la storia di una coppia: ovvero Sabino Civilleri e Manuela Lo Sicco (uniti anche nella vita), che sul palco nudo del Piccolo Teatro di Catania ripercorrono a rebours il loro tempo pescando da due bauli-universo, gli oggetti e gli abiti dei loro ricordi e della loro esistenza, sotto un allusivo formicolare di stelle. Tutto l’atto unico è interamente giocato sulla linea antifrastica presente-passato e nell’alternanza sempre più marcata, sempre più accelerata e ossessiva tra un adesso e un prima sempre più lontano. E’ lungo quest’asse temporale che Emma Dante esplora la coppia e l’amore nella dimensione fisica e musicale, entrambe nettamente preminenti rispetto allo stesso logos. Dalla condizione di rovina propria della vecchiaia, i protagonisti si svestono poco a poco di anni e di panni, indossano la loro maturità, la loro giovinezza, la loro spensieratezza, esprimono quasi in maniera sfrenata tutta la voglia di vivere. A parlare infatti è soprattutto il loro corpo (tutto il teatro della Dante è un teatro di corpi) attraverso una resurrezione laicissima e nostalgica incentrata sulla fisicità esuberante e sulla eccezionale consonanza espressiva dei due interpreti. In questo modo, nel corso dello spettacolo, gli anni e i ricordi si accumulano insieme ai vestiti, gli uni e gli altri sparsi sulla scena che poco a poco si disordina – metafora del caos del tempo che lascia segni e cicatrici – mentre le tappe si fanno sempre più incalzanti e più distanti: il matrimonio, la maternità, un lontano capodanno tra paillettes e spumante, il corteggiamento, una spiaggia, tutte intramate da un accattivante accompagnamento musicale: da Mina a Tenco, dalla Pavone a Vianello, da Morandi a Rabagliati. Lo spettacolo pare muoversi però (anche un po’ pericolosamente) sulla china del divertissement tout-court, di un esprit comique certo caro alla drammaturga siciliana ma che disinnesca le dinamiche forti e i contrasti familiari che la Dante sa benissimo evocare e mettere a nudo (pensiamo, per esempio, a «La scortecata» e a «Il festino»). In questa metamorfosi il tour de force interpretativo della coppia non ha pause ne’ cadute se non fosse per il suono delicato di un carillon a segnare, per brevi momenti, il tempo trascorso e inesorabile: forse alla fine tutti i loro (e i nostri) ricordi sono attraversati da una lacrima invisibile. Ma se ne «La scortecata» Emma Dante raccontava una fiaba orribile, dove il continuo saliscendi sulla vertiginosa giostra della scrittura secentesca rinviava soprattutto a quello delle membra, della voce, alludendo alla condizione inaccettabile della vecchiezza (e quindi della morte), qui la vis drammatica lascia il posto al nostos e quasi alla felicità spensierata. E questo moto da un tempo culmina appunto sulle note de «Il Tango delle capinere», ultima tappa di un viaggio che si svela circolare: i due protagonisti venuti al mondo dal baule, lì rientreranno per sempre, mentre una milonga di Piazzolla declina il languore delle sue note dolenti

crediti fotografici: Rita Ligresti

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