All’ombra meravigliosa del padre: “Parole mute 2.0” di e con Francesca Vitale per Palco Off

 

CATANIA. Immagini random a colori. Saranno stati gli anni ‘60 o giù di lì. Un dancing? Una serata di carnevale? La sala piena, il viavai dei camerieri con gli aperitivi, i tavolini fitti dove le signore ostentano le loro scollature e i mariti col cravattino nero fumano avidi, il lampo di sensualità nei loro occhi mentre gustano la cantante o ascoltano il divo di turno. Ci sono Modugno, Milva e Patty Pravo. Pure un giovanissimo Bongusto e le Kessler (io però me le ricordo solo in un bianco e nero televisivo che le faceva più platino che bionde). Comunque lì c’era il gotha della musica leggera. Ed era a Catania. Grazie ad un solo uomo. Quelle immagini ci restituiscono infatti solo una della tante serate al «Night al Castello» il locale di un uomo dai mille interessi, la cui esistenza Francesca Vitale nei panni di attrice che interpreta se stessa, figlia, ricama lungo una serie di flashback, di inserti musicali, di lampi d’immagine sui legni del Centro Zo. «Parole mute 2.0 Una testimonianza sull’Alzheimer», appuntamento con «Battiti» la IX stagione teatrale di Palco Off per la regia di Manuel Renga (ripresa dall’originale, firmato da Lamberto Puggelli), più che teatro ordinario è una incursione vertiginosa nella memoria di figlia, un dialogo con un padre la cui presenza è solo segnata dalla voce fuori campo (di Paolo Bonacelli) ma che si allaga per tutto il monologo.

L’atto unico racconta tutta in soggettiva, il difficile, conflittuale ma pieno e sincero rapporto col padre e del suo drammatico ed inaspettato epilogo a causa dell’Alzheimer, discrimine che diventa la chiave di volta per una rinnovata lezione dal dolore. «E’ una storia vera – ci dice Francesca Vitale – è la storia mia e di mio padre, la storia dello sconvolgimento che si prova nel trovarsi faccia a faccia con questa brutalità che è l’Alzheimer.» Nella nuda scena solo alcuni oggetti, feticci di una infanzia felice e testimoni della totalizzante presenza del padre, prima e dopo.  Già: i ricordi sono ormai diventati una vecchia casa con i mobili coperti dal cellophane, che poco a poco, la voce narrante e rammemorante, rivela e scopre: una poltrona, quella del padre, un giradischi, libri e foto lontane di momenti felici. Una vita splendidamente vissuta, i viaggi, la musica, le molteplici passioni di un padre viveur raccontate con delicatezza senza mai cadere nel melodrammatico (e che nel 2009, all’esordio, valse allo spettacolo del Premio Enriquez). Poi i primi sintomi il lento decadere, le visite, fino alla diagnosi impietosa e crudele, l’assenza. Ma la malattia diventa anche risorsa, chiave alternativa di lettura per riannodare un colloquio, il senso di un rapporto visto a posteriori. Lungo i quadri dell’atto unico ecco allora squadernarsi un «linguaggio nuovo» fatto anche di canzoni – tutte intensamente interpretate «live» dalla voce di Francesca Vitale – di riannodamenti e, finalmente, di reciproche comprensioni. Francesca Vitale diventata per forza di cose genitore di suo padre, distilla dunque da quell’esperienza la propria agnizione, nel duplice sforzo – riuscito – di riessere, ancora una volta, anche per il padre e per tutti quelli che soffrono. Perché, in fondo, proprio loro, i malati di Alzheimer, «non sanno che esisti».

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