Frida Kahlo: la Dea Madre meticcia. “Viva la vida” allo Stabile di Catania
La scheggia di Casa Azul di Coyoacan, il sobborgo di Città del Messico, piantata nel cuore al centro della scena del Verga di Catania, è solo uno specchio immerso nell’oscurità della morte imminente su cui Frida Kahlo, celeberrima pittrice e bohemien sudamericana, osserva e scruta i suoi molti sé. E’ nel lucore lucido della fine che la folgorante presenza di Pamela Villoresi – nei panni di Frida – esala da quel buio nella meraviglia abbacinante dei ricordi durante il suo appassionato a rebours di “Viva la vida”, nel cartellone dello Stabile etneo. E non a caso il sottotitolo del testo di Pino Cacucci da cui Gigi Di Luca ha tratto e adattato lo spettacolo (prodotto dal Teatro Biondo di Palermo), recitava appunto: “momenti, immagini, ricordi sparsi, amores y desamores”. Ed è su quello specchio, ed è su quella scena che scorrono idealmente insieme la vita e le immagini dei suoi quadri, le sue lettere appassionate, i suoi amori e le sue frustrazioni, la necessità della pittura e della sua funzione sublimante. “Viva la vida” è una sorta di monologo interiore, una lettera intima che Frida, nata tre anni prima della rivoluzione di Zapata e di Villa, invia a se stessa, riconoscendosi, col suo corpo rotto (in un terribile incidente sul bus un corrimano le trafisse la schiena e parte della vagina), come una relitto alla deriva che vive nel tentativo di essere trovato e amato. “Tra gioie meravigliose e tristezze infinite”, “cancrene” fisiche e sentimentali, tra morfina e alcool, Frida – “mille volte morta”, “intossicata dai sogni” – ripercorre i suoi tormentati quarantasette anni. Accanto a lei si alternano Amore e Morte con movenze quasi kabuki: la prima, sullo sfondo sensualmente sonoro, nei panni della cantante Chavela Vargas, l’ultima amante di Frida – una Lavinia Mancusi strepitosa che accende lo spettacolo con i colori delle sue canzoni – l’altra, la body painter Veronica Bottigliero, incarna, nelle scure vesti, la Pelona (la morte) che, muta serva di scena, le dipinge incessantemente il corpo mentre Frida si abbandona al flusso memoriale. Dai rapporti col padre, da cui l’artista ereditò la pazienza dell’artigiano, all’appassionata militanza comunista; dalla trascinante vitalità di Diego Rivera il pittore-seduttore, di cui si innamora e che sposa; dall’amicizia con Tina Modotti, al singolare e contrastato rapporto con l’ex moglie di Riviera, Lupe e con l’esule Lev Trockji fino ai dissidi con la sorella Concetta; dai frequenti aborti – una mancanza che sentirà sempre lancinante – alle relazioni extraconiugali, anche quelle lasciate intuire con il mondo artistico non solo messicano. In forma sognante la narrazione si incardina nella sola epica presenza della Kahlo-Villoresi che alterna alla naturale esuberanza espressiva una resa allusiva e dell’abisso che questa donna straordinaria ha allevato dentro di sé. La regia di Gigi Di Luca ha pensato la Kahlo in forma di figura archetipica che si palesa come una divinità antichissima, una Grande Madre meticcia: “sono carne e spirito delle Americhe, sono figlia di una figlia nata dallo stupro dei guerrieri avidi d’oro”, ma nello stesso tempo ne ha messo in evidenza la potentissima fragilità, arricchita da una sensualità dirompente, raccontata senza eccessi spettacolari (si pensi al celeberrimo film di Julie Taymor del 2002) quasi per sottrazione ma con una scrupolosissima attenzione ai particolari e ai costumi, splendidi, di Roberta Di Capua e Rosario Martone, ritraendo il suo tentativo di ricomporsi come donna e come artista nella fine di ogni cosa. Allora, il suo volto mascolino, le sue sopracciglia folte sono davvero i neri corvi di una vita dolorosa e straordinaria che volano però verso l’eternità, Frida finalmente sposa della sua solitudine dietro la teca di una esistenza irripetibile.
Fino a domenica 13 marzo
“Viva la vida”
Teatro Verga – Catania
Liberamente tratto dall’omonimo romanzo di Pino Cacucci
progetto, adattamento e regia Gigi Di Luca
con Pamela Villoresi
e con Lavinia Mancusi e Veronica Bottigliero
scene Maria Teresa D’Alessio
costumi Roberta Di Capua, Rosario Martone
musiche Lavinia Mancusi
luci Nino Annaloro
assistente alla regia Valentina Enea
produzione Teatro Biondo di Palermo