Dopo quarant’anni torna, in questa stagione delle rappresentazioni classiche dell’Inda, a Siracusa, Ifigenia in Tauride, con la regia di Jacopo Gassmann.
La storia di Ifigenia è trattata da Euripide in due tragedie, Ifigenia in Aulide e Ifigenia in Tauride; gli studiosi sono concordi nell’affermare che Ifigenia in Aulide sia stata composta dopo l’altra anche se i fatti narrati si svolgono cronologicamente prima. Sappiamo del sacrificio di Ifigenia, imposto ad Agamennone dall’oracolo perché avesse esito felice alla guerra di Troia, già da Eschilo nell’Orestea. Euripide, inventando una versione parallela del mito, così come fa in Elena, suppone che al momento in cui la fanciulla sia stata posta sull’altare perché venisse immolata, Artemide sia intervenuta a salvarla e abbia collocato sull’altare una cerva al posto della vergine, figlia del re di Micene.
Da qui prende il via il racconto di questa tragedia dall’esito felice che si apre con un lungo prologo affidato alla voce della stessa fanciulla che ricorda tutto l’antefatto davanti al tempio di Artemide decorato di teschi e di ossa umane, insanguinato.
In Tauride, terra selvaggia e popolata da barbari, Artemide ha reso lei, fanciulla pura, sacerdotessa di sacrifici umani dove le vittime sono gli stranieri che arrivano su quelle spiagge desolate. Insieme a lei un coro di donne greche, schiave, piene di nostalgia per la patria e le loro famiglie.
Nel monologo –bellissimo, con parole strazianti che furono poi riprese da Lucrezio nel De Rerum Natura per dimostrare l’assurdità della religio intesa come superstizione- Ifigenia confessa che Artemide le ha insegnato l’arte di uccidere gli stranieri ma lei adesso si prepara per un rito funebre: un sogno l’ha portata a credere che il fratello Oreste sia morto e, seguendo questo presagio, vuole rendere a lui un atto di purificazione. Da qui prende avvio la vicenda fatta di ricerca, di memorie, di nostalgia, di agnizioni. In Tauride approdano Oreste, perseguitato dalle Erinni per aver ucciso Clitemnestra, e Pilade, marito di Elettra e suo “fratello in amore e non di nascita”. Dopo una catena di elementi che devono portare al riconoscimento, Ifigenia comprende di avere di fronte il fratello, Oreste scopre che la sorella non è morta immolata, come tutti credono, e i tre possono meditare una fuga per ritornare in patria. L’intervento di Atena ex machina placherà la tempesta in mare e, soprattutto, l’ira di Toante, il re, e consentirà il lieto fine.
Su tutti e su tutto dobbiamo riconoscere la personale, corretta e toccante interpretazione di Massimo Nicolini, nei panni di Pilade e Ivan Alovisio nei panni di Oreste. A loro, alla loro dizione pulita, al timbro profondo, alla sincerità dell’interpretazione, si deve riconoscere il merito di averci ricordato che trattavasi di tragedia greca.
Traduzione Giorgio Ieranò, Regia Jacopo Gassmann, Scene Gregorio Zurla
Visual Designer Luca Brinchi, Daniele Spanò, Costumi Gianluca Sbicca, Movimento e coreografie Marco Angelilli
CAST: Ifigenia: Anna Della Rosa, Oreste: Ivan Alovisio, Pilade: Massimo Nicolini, Bovaro: Alessio Esposito, Toante: Stefano Santospago, Nunzio: Rosario Tedesco.
CORO DI SCHIAVE GRECHE: Anna Charlotte Barbera, Luisa Borini, Gloria Carovana, Brigida Cesareo, Caterina Filograno, Leda Kreider, Marta Cortellazzo Wiel, Roberta Crivelli, Giulia Mazzarino, Daniela
LOREDANA PITINO