LA DOLCIERA SICILIANA, romanzo di Annamaria Zizza, Marlin editore.
Una mavara dagli occhi di mandorla”
Quando ci si avvicina alla lettura di un nuovo romanzo sappiamo tutti che con le prime pagine entreremo in un mondo fatto di un territorio coi suoi abitanti, con le sue terre, con i suoi tempi. E ad ogni nuova lettura il nostro vissuto personale si arricchisce di altri vissuti, si amplifica, si completa, si riempie di luoghi, tempi, personaggi, fantasie, frasi, citazioni, mondi. Mondi di carta, nei quali navigare come esploratori e con i quali apprendere, divertirsi, evadere e, anche, annoiarsi. E’ la magia della letteratura.
In questi giorni è in libreria il terzo romanzo della scrittrice Annamaria Zizza che con la magia della letteratura ha molto a che fare. Si tratta della Dolciera siciliana, edito da Marlin.
Dopo aver raccontato dell’ Antico Egitto (quello della XVIII dinastia) e del Regno degli Ittiti nei primi due romanzi –Lo scriba e il faraone e La regina di Tebe– romanzi storici che hanno richiesto uno sforzo di ricerca a ritroso in un tempo lontanissimo e poco conosciuto, con questo nuovo testo la Zizza è rimasta ancora nel genere del romanzo storico ma avvicinandosi molto di più nel tempo e nello spazio.
Si tratta, infatti, di una vicenda siciliana -come dice il titolo- che dichiaratamente prende inizio nel 1739, ma non sarebbe esatto parlare di romanzo storico, piuttosto di un romanzo tuffato nella storia, che trasuda di riferimenti e personaggi, eventi, tutti conosciuti e riconoscibili per chi conosce la storia del Settecento e Catania e Modica e Milano e un po’ di letteratura o architettura. E per chi non avesse frequentazione di questi luoghi e di quei tempi, la narrazione offre una tale varietà di riferimenti che la ricostruzione di quel frammento di secolo -articolato e fascinoso, rivoluzionario e conservatore a un tempo- è precisa e abbellita dalla fantasia.
Ho cercato a lungo un aggettivo per definire questo romanzo e alla fine l’ho trovato: pieno.
Di una pienezza fatta di ricerca e competenza, di poesia e raffinatezza, di approfondimento psicologico e sagace divertimento nel cucire trame di relazioni e inventare situazioni che partono dal vero e virano nell’invenzione. E poi, ma sarebbe più giusto dire prima, pieno di zucchero e cannella, ricotta e uvetta, creme e crostate, torte e pasticci, pane di casa e rosolio, come dice la breve sinossi in copertina, Maria, cioccolato e cannella.
Maria è la protagonista, la dolciera siciliana, nata a Modica, cresciuta in un orfanotrofio perché figlia di NN, dove impara i primi rudimenti della cucina e che, dopo un tragico incontro, una violenza subita, viene accolta nella ricca dimora di Tommaso Campailla, uomo illuminato, medico autodidatta, filosofo, filantropo, una delle maggiori personalità che hanno dato lustro alla ricca e nobile città siciliana, un tempo Contea. E la seconda protagonista è in effetti Modica con la sua bellezza barocca, le strade, i ponti, le scale, i campi coltivati a ulivi e mandorle, i muretti a secco, le chiese, l’unica città in Sicilia (e forse non solo) ad avere due Chiese madre, due “duomi”, San Giorgio e San Pietro, le grandi contraddizioni sociali fra una plebe poverissima e un ristretto gruppo di ricchi proprietari terrieri. Modica Contea strategica per le sorti politiche, economiche e intellettuali della Sicilia. Modica la regina del cioccolato, quello degli antichi Atzechi, preparato a freddo, granuloso di zucchero e vaniglia.
Nella casa dei Campailla Maria diventa criata, termine che nel dialetto siciliano indicava la sorte delle ragazze che andavano a servizio perché erano, appunto, figlie del mondo, creature senza appartenenza. Di lei la Zizza segue la crescita, la formazione, la devozione verso chi l’ha accolta e protetta, l’iniziale fragilità e la maturazione che la porterà al coraggio di una scelta dolorosa, dura ma anche astuta. Maria cresciuta, passata attraverso la prova della malattia, guarita grazie alle cure miracolose di Campailla, lascerà Modica, si trasferirà a Catania e diventerà Mario, per poter essere presa a servizio dalla più potente famiglia nobile del tempo, quelli che, per ragioni dettati dalla fiction che il romanzo è, diventano qui i Principi di Valguarnera (Paternò Castello Principi di Biscari)
Con un viaggio su un carretto Maria arriva a Catania, la terza protagonista del romanzo. La città che in quegli anni si stava ancora scrollando di dosso le macerie del terremoto che l’aveva distrutta e si stava ricostruendo sotto la guida esperta dell’architetto Vaccarini e di molti altri artisti e artigiani che le diedero quell’aspetto opulento, maestoso, elegante e stravagante della Catania barocca.
La catanese Annamaria Zizza ci consegna il volto della sua città ricostruito con amore di figlia e interesse da studiosa, che ha trascorso giornate intere negli archivi storici e nelle biblioteche, delineando genealogie e ipotizzando rapporti e legami tra personaggi reali, verisimili e fittizi. Una Catania che puzza (oggi come allora) di fogne, di popolo, di pesce marcio, di malattie, di miseria e di ignoranza, ma anche una Catania che profuma, di gelsomino, di alghe di mare sbattute sulla roccia nera, di essenze di zagare nei decolleté delle dame e di cannella, anche qui, di zucchero e di mandorle, di dolci consumati nei sontuosi pranzi e nelle colazioni e nelle feste che a casa dei principi di Valguanera erano un rito frequente. Per questo Maria/Mario entra a servizio, per preparare quel pane bianco con la crosta dura (alla maniera modicana) che il principe amava tanto, le cassatelle di ricotta, il biancomangiare, gli sformati, i pasticci e perfino i soufllè. Lei che era diventata dolciera “per rifarsi la bocca dopo tanto penare”.
Al Palazzo principesco che si affacciava sul mare con splendidi terrazzi adornati di bassorilievi e fregi, la ragazza che nasconde la sua vera identità, incontrerà Giuseppe Ripetti, un poeta lombardo del quale la Zizza segue tutta la vicenda dall’infanzia in una Lombardia (manzoniana) fulcro di quell’Illuminismo in fioritura, che studia a Milano presso la scuola delle Arcimbolde e diventa precettore “di amabil rito”. Riconosciamo subito i tratti biografici di Giuseppe Parini, massimo poeta del Settecento, e riconosciamo geniale la trovata di immaginare un viaggio dell’autore del Giorno in Sicilia, come fosse stato uno dei protagonisti del Grand tour. Per giustificare la fantasia del suo gioco creativo questo poeta avrà un altro nome e citerà, egli stesso, il grande Parini al quale si paragonerà.
Inevitabilmente tra Mario, che si rivelerà essere Maria “una mavara dagli occhi di mandorla” e Giuseppe, ospite a palazzo, scoppierà una scintilla di attrazione, di passione, di amore non-amore, perché non rivelato. Il tutto in un finale sorprendente, toccante e magnifico.
Una globale armonia stilistica e sapienza narrativa tesse la lunga serie di motivi narrativi intrecciati in descrizioni dettagliate e precise, approfondite da citazioni di proverbi siciliani (distinti tra catanesi e modicani) e lombardi, da riferimenti agli usi del tempo, alle mode, perfino ai giochi da tavolo, alle feste religiose e regala a questo romanzo anche la veste di saggio antropologico, nonché di manuale di ricette antiche, molte, purtroppo ormai, perdute. (Ne sconsigliamo la lettura a chi fosse a dieta).
Senza dubbio si tratta di un romanzo barocco che mette in luce i contrasti tra religione e scienza, fede e filosofia nel secolo dei Lumi e in Sicilia, terra del Barocco, che l’autrice non raffigura mai con tratti oleografici.
Ciò che non ha niente a che fare con il barocco è lo stile della narrazione.
Come ha già dimostrato nei precedenti romanzi, la Zizza è capace di una scrittura sincera e lineare, fluida e sapiente, in equilibrio tra descrizioni pittoresche e voluttuose, scavi psicologici e frammenti erotici, riferimenti colti e il gusto per una parola rotonda, precisa come una lama e lucida come lampi di dolore, di fede, di gola, di amore. Una scrittura piena per un romanzo pieno da lasciare il lettore con il languore della dolcezza in bocca e nel cuore.