LA GIOCONDA, di Amilcare Ponchielli. Al Teatro Massimo Bellini di Catania

Regia, scene di Francesco Esposito, costumi di Giovanna Adelaide Giorgianni, design luci di Antonio Alario. Corpo di ballo AltraDanza, con la coreografia di Domenico Iannone. Orchestra e coro del Teatro Massimo Bellini (diretto da Luigi Petrozziello). Coro Voci Bianche “InCanto”, diretto da Alessandra Lussi. Direttore d’orchestra Fabrizio Maria Carminati. Soprano Anna Pirozzi (Gioconda), tenore Ivan Momirov (Enzo Grimaldo); baritono Franco Vassallo (Barnaba); mezzosoprano Anastasia Boldyreva (Laura Adorno), basso George Andguladze (Alvise Badoero). Nicola Pamio (Isèpo); Agostina Smimmero (La Cieca); e Giovanni Palminteri (un cantore, un bernabotto).

La stagione di lirica e balletti 2024 del Teatro Massimo Bellini di Catania si è conclusa con un allestimento grandioso, sontuoso e delicato nello stesso tempo con La Gioconda di Amilcare Ponchielli (su libretto di Arrigo Boito)

Una scelta convinta ma anche difficile- da parte del Maestro Carminati e del Sovrintendente Giovanni Cultrera di Montesano- che ha voluto omaggiare il regista Roberto Laganà, scomparso nel 2020, riportando in scena l’allestimento scenografico del 2006, con la regia di Francesco Esposito.

La vicenda di questo melodramma che fu rappresentato per la prima volta nel 1876 è complessa e, in parte, poco coerente (per via dei tanti tagli che il musicista impose al librettista); ci racconta di un amore impossibile, di tradimenti e giochi di potere, di agnizioni e travestimenti, di seduzione e sacrificio nella Venezia del XVII secolo. Sono tutti gli ingredienti del drammone romantico ma la caratterizzazione dei personaggi, l’intreccio delle vicende,  il modo singolare con cui la coppia Boito-Ponchielli ha trattato i sentimenti, si inseriscono di più nello stile decadente.

Difficile definire se la protagonista sia Gioconda o piuttosto il suo antagonista Barnaba, il cattivo che anticipa i caratteri di Jago e di Scarpia. De resto i quattro atti si aprono con lui, informatore del Consiglio dei Dieci, spia travestito da cantastorie, e si chiudono con il grido di rabbia del seduttore subdolo che non ha ottenuto “il corpo” promesso da Gioconda che ha scelto la morte.

In questa edizione catanese la forza dell’interpretazione vocale e scenica, di Franco Vassallo nei panni di Barnaba, e l’impostazione della regia hanno messo in evidenza il primato del ruolo del baritono capace di rendere la perfidia dell’uomo di potere nel timbro scuro e tagliente. Quello che viene messo in scena è un amore talmente puro da portare Gioconda – Anna Pirozzi al suo debutto a Catania- ad accettare il sacrificio della rinuncia all’uomo amato, Enzo, per farlo felice tra le braccia di quella che prima era stata la sua rivale, Laura. Mentre Barnaba ordisce inganni e tradimenti per rivelare ad Alvise, marito di Laura, il tentativo di fuga, Gioconda, grata alla donna per avere salvato la madre cieca, trama per salvarle la vita e mettere in fuga i due innamorati, dandosi poi la morte per sfuggire l’amplesso con Barnaba.

Un amore sublimato in un contesto scenico sontuoso e di grande impatto agli occhi dello spettatore. Grazie a una regia attenta e personale l’azione degli cantanti e del coro è resa plastica e tutti si muovono in un impianto che va in profondità e in altezza. Un gigantesco leone campeggia sul cortile del Palazzo Ducale nel primo atto, una grande imbarcazione nel secondo con i colori tenui dei costumi del coro dei pescatori e dei fanciulli, mentre nel terzo domina il rosso dei tendaggi a sottolineare la regalità e la spettacolarità della Ca’ d’oro e della celebre “Danza delle ore”, Nel quarto la povera dimora alla Giudecca, caratterizzata da toni scuri, preludio della morte di Gioconda.

A proposito della Danza delle ore (e anche della furlana del primo atto) va detto che la coreografia, di Domenico Iannone, ha alleggerito molto la drammaticità complessiva e l’ha attualizzata, senza per questo operare forzature. Agile e moderno il balletto – dove il librettista aveva immaginato dodici ballerine che, danzando in cerchio, rappresentassero le dodici ore, e due ballerini che, nel mezzo, raffigurassero le lancette- costruito su sei danzatori con un costume nero e un nastro rosso in testa, ha reso il riferimento allo scorrere del tempo fortemente allegorico e gioioso (malgrado il colore dell’abito) e decisamente originale nei movimenti, sinuosi e ritmati al contempo, che sembrano raggiungere un compromesso fra danza classica e moderna.

La direzione del Maestro Carminati ha consentito di raggiungere un equilibrio perfetto tra la parte strumentale e le voci. Nel caso di Gioconda la difficoltà maggiore creata da Ponchielli ed evidenziata dallo stesso soprano Anna Pirozzi, sta nel rischio di sentire l’orchestra che supera le voci dei quattro protagonisti o, anche, il virtuosismo del soprano, del tenore e del baritono prevalere sugli strumenti. In questo caso abbiamo percepito una totale armonia tra coro, orchestra, cantanti e coro di voci bianche, che ha sottolineato i recitativi, ha sostenuto le arie, i duetti e ha confermato la sapiente perizia dei musicisti catanesi soprattutto nei momenti di ampio respiro come nel preludio del primo atto, del quarto o nell’esecuzione della Danza. Perfetta concidenza per un’unica e sola voce: quella della musica.

Adesso attendiamo il debutto di Norma che a gennaio aprirà la stagione 2025.

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