BOHEME. Al Teatro Massimo Bellini di Catania

𝑳𝒂 B𝒐𝒉𝒆̀𝒎𝒆, musica di Gaicomo Puccini, su libretto di Luigi Illica e Giuseppe Giacosa. Allestimento del Teatro Massimo di Palermo. Orchestra, coro e tecnici del Teatro Massimo Bellini, in scena dal 26 novembre fino al 4 dicembre.

Direttore Fabrizio Maria Carminati, regia Mario Pontiggia.

Interpreti: Valeria Sepe, Jessica Nuccio, Giorgio Berrugi , Vincenzo Taormina, Italo Proferisce, George Andguladze, Riccardo Palazzo, Andrea Tabili

Senografie di Antonella Conte, costumi di Francesco Zito, luci di Bruno Ciulli.

 

La “gioventù infranta” di Mario Pontiggia

 

Si è inaugurata sabato 26 novembre la stagione Lirica e balletti 2022/23 del Teatro Massimo Bellini di Catania. Una inaugurazione in grande stile con una bellissima e toccante edizione della Boheme di Giacomo Puccini, affidata alla direzione d’orchestra del M.tro Fabrizio Maria Carminati e alla regia di Mario Pontiggia.

L’opera più famosa di Puccini, la terza più rappresentata al mondo, è ambientata nel mondo che allora, a Parigi, si definiva dei bohemien: Mimì è un’umile ricamatrice che guarda il mondo dalla sua soffitta ed è malata di tisi, Rodolfo è un poeta sognatore che vorrebbe scrivere grandi drammi ma si arrangia facendo il giornalista. Accanto a Rodolfo vive il pittore Marcello innamorato e gelosissimo di Musetta. Loro grande amico è il filosofo Colline e poi c’è il musicista Schaunard.

Povertà, malattia. fame e freddo sono protagonisti insieme ai personaggi, ma senza squallore e tristezza, anzi. “In povertà mia lieta, scialo da gran signore” canta Rodolfo a Mimì nel primo duetto.

Per questo Boheme è l’opera più moderna, più attuale, del repertorio ottocentesco, perché è un inno alla gioventù, un ritratto (almeno nei primi due quadri) di spensieratezza e leggerezza, incertezza e progetti. E’ l’opera delle piccole cose, piccoli oggetti delicatamente abbozzati: cappellini, cuffiette, caminetti, manicotti, pastrani. Un affresco verista colorito dal linguaggio moderno, colloquiale, crepuscolare dei due grandi maestri Luigi Illica e Giuseppe Giacosa che consentirono a Puccini quel magico impianto musicale mai disturbato da versi ridondanti o enfatici, bensì intimo, così autenticamente vicino alla sensibilità concreta del nuovo secolo che stava arrivando, il Novecento.

Mario Pontiggia, nella messa in scena che ha realizzato per il Bellini quest’anno, ha voluto sottolineare, soprattutto questo aspetto. Ha centrato la sua interpretazione su dei ragazzi inadeguati alla vita, non preparati al dramma che arriverà a travolgere non solo la giovane donna destinata a morire, ma tutti loro perché con la morte di Mimì finirà anche la gioventù e l’allegria.

Nell’incontro di presentazione, il regista, ha definito i giovani di Boheme come dei “freaks”, degli stravaganti controcorrente, antiborghesi, pieni di fantasia, poesia e sogni.

Per questo ha ambientato la vicenda in un contesto pittoresco con un richiamo preciso all’iconografia di Toulouse-Lautrec che fa da sfondo alla fantasmagorica scena del secondo quadro.

Dopo l’apertura, nella fredda soffitta spoglia e grigia sui tetti di Parigi del primo quadro, quando la compagnia di amici si trasferisce dal Momus per festeggiare la vigilia di Natale, il palcoscenico si trasforma in un’area chiassosa e popolosa, con due pagliacci che aprono il sipario e invitano gli spettatori a partecipare, non a guardare ma a ridere con loro e divertirsi, mentre i bambini cantano e inseguono il giocattolaio Parpignol (Riccardo Palazzo nelle vesti di una maschera veneziana da Commedia dell’arte), mentre Musetta fa ingelosire Marcello. In sala le luci non si spengono del tutto ma restano soffuse, per fare entrare il pubblico sulla scena e abbattere la barriera virtuale.

Questo è il quadro dei grandi paesaggi sonori che Puccini ha orchestrato per ricreare le scene di massa nelle strade di Parigi, con le grida dei venditori e i cori dei bambini. Una babele di voci sulle quali si innestano i duetti e i recitativi dei protagonisti; frequenti cambi di tempo, metro, dinamica e intensità. La partitura di Puccini è un’architettura musicale complessa e perfetta che qui, sotto la guida del M.tro Carminati e la riconosciuta maestria dell’orchestra del Teatro Massimo di Catania,  ha regalato al pubblico catanese una sapiente, superba interpretazione. Carminati, grazie alla sua lunga esperienza sullo spartito pucciniano, con il quale ha debuttato come direttore al teatro Regio di Torino nel 1993, ha eseguito i dettami presisi che il musicista toscano impone, restando fedele anche a tutte le indicazioni sull’andamento dell’esecuzione. Il risultato è stato una coinvolgente e toccante esecuzione dalla figurazione ritmica del primo quadro alla straziante scena finale della morte di Mimì, con la sua crudezza, con il suo silenzio, con il singhiozzo disperato di Rodolfo .

Mimì muore in silenzio, sola in una stanza piena di chi le ha voluto bene e riconosce il quel trapasso anche la fine dei loro giorni lieti.

Nella riuscita di questa interpretazione è stata fondamentale l’intesa di tutti gli artisti, da Mimì, Valeria Sepe, giovane talentuosa già pienamente a suo agio, sia musicalmente che attorialmente nel ruolo, a Rodolfo, Giorgio Berrugi, al baritono Vincenzo Taormina, Marcello, voce vibrante, limpida,  alla spumeggiante e brillante Musetta, Jessica Nuccio, al basso George Andguladze che ci ha commosso con la sua “Vecchia zimarra”.

Curatissimi e originali i costumi (di Francesco Zito) e la scenografia (di Antonella Conte).

Sul finale, naturalmente, quello che Carminati ha definito un perfetto “meccanismo lacrimogeno” ha funzionato perfettamente e il pubblico è letteralmente esploso in un applauso catartico.

L’omaggio del Direttore d’orchestra, che è anche Direttore artistico del Teatro Massimo Bellini, ai “suoi” musicisti è stato quello di chiamarli fuori dal golfo mistico e fare godere loro il meritato applauso sul proscenio, così come pure ha fatto con tutte le maestranze che sono parte fondamentale per la riuscita di uno spettacolo.

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