“L’arte della resistenza”, nonostante tutto. Per la rassegna “Palco off” al Centro Zo di Catania

“L’arte della resistenza”, nonostante tutto. Per la rassegna “Palco off” al Centro Zo di Catania

Si comincia all’improvviso. Come sempre. Come in ogni cosa. O forse no. Anzi è proprio in questa impegnativa leggerezza che consiste, per tutti, «L’arte della resistenza». Che è pure il titolo dello spettacolo di Barbe à Papa Teatro che Palco Off ha proposto sul palco del Centro Zo, per la sua XI rassegna. Claudio Zappalà che ne ha scritto il testo e curato la regia conclude così la sua scoppiettante dolceamara trilogia cominciata con «Il coro di Babele» e proseguita con «Mi ricordo». E sulla linea degli altri, anche questo si presenta come lo psicodramma di quattro vite di attori (ma in fondo lo siamo tutti, no?) che fra esuberanza e tragedia riflettono una condizione che non è solo quella della Generazione Y, la loro.

Se la depressione è un punto di partenza (e come non potrebbe esserlo per loro, «lacerati e usurati da anni di crisi economica, sociale, politica e culturale?») il senso è quello di trovare una soluzione, magari nel conflitto costruttivo, nella condivisione e nell’ironia. E la «prova» di uno spettacolo diventa allora lo scenario ideale per rivivere spaccati di vita e scandagliare la propria esistenza. Si susseguono perciò sulla scena frammenti e ricognizioni, preoccupazioni e riflessioni abissali di tutti loro: magari sospendendo il conto alla rovescia di un capodanno (uno dei tanti, uguali, inutili, fintamente felici), magari scendendo a fondo, ma proprio giù per guardarsi finalmente in faccia e scoprirsi, anche dolorosamente. Il tutto però sostenuto dal memento della «resistenza» – «Sto invecchiando […] ma sto migliorando nell’ammettere quando sbaglio, sono più felice che mai, almeno questo è il mio impegno: tenermi insieme e dare la priorità al mio piacere», sottolinea la voce di Billie Eilish in sottofondo – e da una leggerezza, per così dire, filosofica, da una meditazione profonda che si interroga sul senso del ruolo di ognuno – attore o individuo reale – e sul «testo» a sua disposizione che non corrisponde a quello che reciteremo o vorremmo recitare in questo sfasato karaoke a squarciagola che sono le nostre babeliche vite. I tempi, i gesti e i movimenti dei quattro, bravissimi, in scena – Chiara Buzzone, Federica D’Amore, Totò Galati, Roberta Giordano (cui si aggiunge in voce Elvio La Pira) – offrono una performance felice e gradevole e nonostante un ultimo quadro un po’ troppo didascalico e manieristico ci spingono a considerare (anche in maniera meta-teatrale) quanto di ogni nostro sogno diventa cenere, quanto progetto, quanto utopia da coltivare e da cui far rinascere, sempre e comunque, la speranza.

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