SINDROME ITALIA, O DELLE VITE SOSPESE

Presso Spazio Bis,  all’interno dei locali della scuola d’arte Buio in Sala (diretta da Massimo Giustolisi e Giuseppe Bisicchia), di Catania, abbiamo  assistito al secondo appuntamento della rassegna “Sguardi”   in scena il 16 e 17 dicembre, con il monologo Sindrome Italia o delle vite sospese.

Spettacolo ospite per la prima volta in Sicilia in collaborazione con “Qui e Ora” di Milano, scritto diretto e interpretato da Tiziana Francesca Vaccaro che racconta le cicatrici della migrazione e di una femminilità in lotta.

“È la storia di una e di moltissime donne, le nostre “badanti”– dichiara l’attrice Tiziana Francesca Vaccaro– che dall’Italia alla Romania passando per Palermo e Milano si prendono cura di persone straniere, estranei, così come ora è estranea la protagonista a sé stessa, estirpata alla radice”.

L’attrice e regista cattura l’attenzione e tiene legato lo spettatore che segue il racconto di Vasilica attraverso le lettere che scrive ai due figli rimasti in Romania mentre lei, da sola, è venuta a lavorare in Italia. Le tante tappe di una vita difficile, fatta di solitudine, spaesamento, fatica, fame, freddo, angoscia, sono ricordate, con un incisivo ritmo narrativo, in un racconto che ripercorre dieci anni trascorsi in Italia fino a quando lei non decide di rientrare in patria, a casa; ma qui la sua casa non c’è, il suo paese è cambiato, lei è cambiata, non è più madre, non è più moglie, non è più rumena. Vasillica si chiede “chi sono io?, a cosa servo?

E’ rimasta sospesa la sua vita e questo senso di vuoto esplode in una sindrome fatta di nostalgia di un passato perduto e il sogno di un futuro mai raggiunto.

Una messa in scena intima che, sulle musiche di Andrea Balsamo, il visual concept e le luci di Eleonora Diana con il tutoraggio di Elsa Bossi,  si regge magnificamente sul personaggio di Tiziana Francesca Vaccaro che con tutto il suo corpo, scalza, vestita solo di una vestaglietta leggera, si mette a nudo totalmente ma non scade mai  nel patetico, arriva alla commozione per passare subito alla polifonia di  voci che dialogano con lei e che sono il ricordo delle tante “signore” presso cui ha lavorato, alcune severe, che la costringono a restare “muta”, altre materne, alcune in fin di vita…

Così il monologo non annoia mai e condensa in poco più di un’ora una narrazione carica di momenti e di sentimenti che potrebbero costruire un romanzo. In realtà il soggetto -che è tratto da una storia vera che l’autrice ha raccolto da una donna rumena, Vasilca Baciu,  a Milano-  è stato anche veicolato attraverso un linguaggio moderno che è quello del grafic novel, con una pubblicazione più ampia su questa che è solo una delle tantissime storie di donne che sono attorno a noi nella quotidianità ma che vivono nel silenzio.

Pochi elementi di regia molto suggestivi aiutano a costruire questa pièce che appartiene al teatro di narrazione: tre secchi di stagno dentro ai quali Vasilica lava i panni e nasconde gli stracci; lei stessa si getta addosso indumenti bagnati e, grondante, continua il suo racconto. Ogni straccio un segmento di vita, un vestito, una camicia, una maglia, una bandiera, quella italiana. La bandiera che per tanti migranti, da tutto il mondo, vuol dire libertà, soldi, accoglienza. Un miraggio non sempre raggiunto, quasi mai reale.

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