Una voce slovena tra gli ulivi: la poesia del triestino Boris Pangerc
Una voce slovena tra gli ulivi: la poesia del triestino Boris Pangerc.
“Il Mediterraneo non è solo geografia.
I suo confini non sono definiti né nello spazio né nel tempo.
Non sappiamo come fare a determinarli e in che modo:
sono irriducibili alla sovranità o alla storia, non sono né statali né nazionali.”
(Predrag Matvejević, Breviario Mediterraneo)
«Meravigliosi lidi/ bianchi dai cumuli di sale raccolti// meravigliosi pendii/ di insidie argentate negli uliveti avvolti// per le distese barene/ allunga il sole le sue roventi matasse/ gli olivi con le radici raschiano l’arida rena/ l’orizzonte si dissolve nel nero/ rimbalza da esso la solitudine.»Potrebbe essere «Meravigliosi lidi» la lirica che ci introduce alla poesia di Boris Pangerc. Dal golfo di Trieste giunge un insolito soffio di ulivi: la voce del triestino viaggia attraverso i mari fino alle terre più lontane, comunque accomunate dal Mediterraneo, padre-madre dei popoli costieri. Non è da ora che il mare, il sale e gli ulivi, soprattutto questi ultimi, sono al centro del mondo interiore del poeta sloveno. Tra le diverse raccolte sull’argomento potremmo ricordare «Gli uccelli nel mio oliveto» e «Tenerezza complice», le cui liriche d’amore hanno sempre come scenario il mondo mediterraneo. Il settantenne triestino – è di Dolina a pochi chilometri dal capoluogo – scrive di poesia e di tradizioni popolari da oltre cinquant’anni, da quando era ancora studente al liceo sloveno di Trieste e poi all’università di Ljubljana. La sua produzione rivela l’amore per la vita semplice di paese e per la natura. «Olike in morje in sol – Olivi e mare e sale» pubblicato in edizione bilingue, slovena e italiana, dall’editore Libris di Capodistria (pp.94, euro 18, trad. di Miha Obit) è l’ultima raccolta poetica di Pangerc, a molti noto come il poeta-olivicoltore. Conosciuto nell’area triestina anche per la sua attività di docente e di politico (è stato sindaco di San Dorligo della Valle e presidente del Consiglio Provinciale di Trieste), è un sicuro punto di riferimento per la comunità slovena, di cui ha preso sempre le difese contro il nostro nazionalismo e i travisamenti della storia diffusi in Italia su quella terra di confine. Di Trieste si è detto tanto grazie ai suoi grandi scrittori e poeti, ma anche per la sua tormentata storia, ma non tutti sanno che la città giuliana è anche una città slovena. Insomma, Umberto Saba e Italo Svevo non la rappresentano in toto. Scrisse l’autore de «Il mio Carso», l’italo-sloveno Scipio Slataper, che Trieste aveva una doppia anima, italiana e slava, scegliendo, però, la lingua italiana per raccontarla. Il suo contraltare fu il grande poeta sloveno Srečko Kosovel che con “Quel Carso felice” rispose alle istanze irredentiste del suo conterraneo. Quanti sanno che il più famoso scrittore sloveno, Boris Pahor (1913-2022) era triestino? Quanti italiani conoscono Janko Samec (1886–1945), suo concittadino e straordinario cantore di Tirst («O Trieste, tu mio eterno dolore»)? «Terra ardente/ casa campo un confine/ canto ondeggiante/ malia di un tempo andato// terra natia/battesimo infuocato/ fedeltà alla famiglia…». Questi versi ci rammentano il profondo attaccamento di Pangerc alla sua terra, ma anche la (in)sofferenza verso coloro che vedono gli sloveni come estranei alla casa materna: Trieste. Chi pensa al mondo sloveno, pensa al Carso, ai boschi, alle grotte, alla campagna. Si ritiene solitamente che quella terra sia rivolta al centro Europa, e non guardi al mare, eppure i pochi chilometri di costa la rendono partecipe della grande cultura mediterranea. Le poesie di Boris Pangerc lo testimoniano. Dedicare la sua vita all’ulivo (e all’olio di cui è produttore) vuol dire farne il perno di riferimento dell’intera esistenza: io e il Carso, io e Trieste, io e l’Istria.Da «Olike in morje in sol – Olivi e mare e sale» scaturisce allora un quadro di sentimenti d’amore, di rabbia e orgoglio per la sua terra, ritratta con la delicatezza che merita una regione fragile, come lo sono tutte quelle di confine. Scrive nell’introduzione Vesna Mikolič: «Il poeta segue i veloci cambiamenti nella società e nel proprio interiore con un lessico diverso, con l’utilizzo di nuovi vocaboli, molto letterari e contenenti dialettismi dall’altra (ndr. in sloveno, ovviamente), allo stesso tempo proprio questo processo di ‘istrianizzazione’ significa anche un passo di ritorno a sé stesso. Alla terra natia, alla sua casa, alla sua Dolina. E da qui spera fiducioso di guardare al futuro, dove c’è la cosa più importante: l’amore.»
«L’amore
divamperà lontano
ai posteri come testamento
nella pietra impresso.»