“L’anima allo specchio”: il caso Calabria in un libro di Battista Sangineto

Battista Sangineto appartiene – come Mauro Francesco Minervino e Giovanni Sole – a quel gruppo variegato di (pochi) intellettuali calabresi che hanno affrontato la questione dell’arretratezza della loro regione sul piano non solo socio-economico ma, soprattutto, morale. Quel che emerge dai loro scritti è soprattutto una analisi spietata del carattere del calabrese. Tra i numerosi scritti sull’argomento dell’archeologo cosentino scegliamo L’anima allo specchio. Ovvero della percezione e dell’uso delle antichità calabresi (2006), esaurito da tempo, ma recuperabile su https://www.academia.edu/556944/. Il libro, nonostante gli anni, sembra scritto ieri mantenendo intatta tutta la sua vìs polemica. “Con la cementificazione del territorio i calabresi, per ironia della sorte o forse per qualche nemesi metastorica, hanno fatto crollare un altro dei capisaldi della calabresità quale si era stratificata nella loro anima: il rapporto natura/primitività.” Così scrive Sangineto in uno dei capitoli centrali del suo stimolante testo dedicato alla distruzione (lui la chiama “scomparsa”) del paesaggio calabrese ad opera dei suoi stessi abitanti. Per secoli l’immagine della Calabria è stata quella di una terra “naturalmente” primitiva: selvaggia e aspra con i suoi monti boscosi e impenetrabili, le coste paludose e malariche, gli inverni rigidi e le estati caldissime; ma anche paesaggisticamente pittoresca, con panorami incredibili su monti e mari di una bellezza indimenticabile. L’anima allo specchio ricostruisce in un sintetico viaggio tra storia, questioni identitarie e problemi socio-economici irrisolti la rappresentazione che di sé hanno dato i calabresi per giustificar(si) l’arretratezza della propria condizione e della propria terra.

Dal XVI secolo si diffondono gli scritti di intellettuali – Sartorio Quattromani, Parrasio, Campanella – che, contro le accuse mosse ai calabresi di essere rozzi e incivili, le trasformarono, ribaltandone il senso, in orgogliosa rivendicazione di diversità e, anzi, di superiorità. A partire dagli inizi dell’800 c’è l’identificazione coi Bruzi, considerati, a torto, i legittimi antenati dei ribelli e dei briganti calabri, impegnati a combattere gli occupanti francesi o piemontesi che fossero così come i presunti antenati avevano fatto cogli antichi romani. E’ la costruzione – spiega l’autore – di una identità nata per opposizione, quindi mitica, fasulla, non veritiera e, dunque, dalle conseguenze incalcolabili. O meglio, chiare, perché sotto gli occhi di tutti la pessima situazione in cui versa la regione. Incapaci di spiegarsi l’arretratezza della Calabria i gruppi dirigenti nazionali post-unitari la giustificarono grazie al sostegno dei lombrosiani tardo-positivisti, le cui teorie razziali sull’inferiorità dei suoi abitanti tanto peso hanno ancora oggi. Senza una vera e propria autocritica individuale, i calabresi rispondono di solito alle accuse indignandosi e additando nello sfruttamento dei vari dominatori o dei politici di turno le cause di quell’arretratezza che pongono la Calabria agli ultimi posti in Europa per qualità di vita. Con l’aiuto, in particolare, dell’archeologia, dell’antropologia e della letteratura Sangineto ci offre un lavoro sintetico ma chiaro sulle possibili cause morali della situazione regionale. Ad inizio ‘900, gli scavi archeologici dell’Orsi portarono alla luce i resti di città greche che mostrarono anche l’origine esogena della Calabria, non solo quella miticamente bruzia, su cui da tempo pontificavano dotti e borghesi. Inoltre, i narratori calabresi, che dalla fine dell’800 scrivevano della condizione della Calabria (Padula, Misasi, Alvaro, La Cava, Seminara, Repaci, Strati), rivelavano in un modo o nell’altro la condizione di particolarità e marginalità di questa terra. Infine, l’antropologia ci disvelava la costruzione di miti e luoghi comuni, e, oggi, delle finte tradizioni. Il libro si legge ancora oggi piacevolmente (e amaramente). Il lettore curioso vi si accosti e troverà stimoli per conferme alle proprie idee o per ridiscutere le proprie certezze. L’anima allo specchio è un testo su cui discutere e confrontarsi. Temo, però – come è già accaduto per altri interventi dei pochi critici dell’esistente – che non molti raccoglieranno la sfida. I politici sono troppo impegnati ad “amministrare” o sono troppo ignoranti per rispondere, gli intellettuali hanno altro da fare. Quelli locali, “gli storici municipali”, sono occupati nello studio “ matto e disperato” sulla gloriosa storia dei loro borghi natii. Quelli accademici, son troppo presi dai loro specialismi, o intenti a riscoprire “una cultura “altra” fatta di ore e di luoghi meridiani, di lentezza, di vite scandite da tempi che escludono il profitto, di senso della famiglia e della comunità nelle quali felicemente stemperare l’identità degli individui, di relazioni umane intense, disinteressate ed addolcite dalla cultura del dono e dell’ospitalità, di preziosi localismi da preservare.” Animato da un forte senso etico, l’autore vuole sfatare una serie di miti costruiti ( da sé e da altri) sulla Calabria e sui suoi abitanti per giungere a capire le ragioni dei comportamenti spesso asociali, anti-sviluppo e anti-sistema dei calabresi. Se si vuole uscire da questa condizione di inferiorità, ci dice Sangineto, si deve costruire una identità storicamente vera, non semplicemente oppositiva, poiché “l’identità o, almeno, una qualche positiva capacità di rappresentarsi sono elementi necessari per uno sviluppo armonico perché non vi può essere futuro senza la consapevolezza, memori di quello che si è stati, di quello che si è.”

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