NOZZE DI SANGUE, LA SCENA FLAMENCA Di GARCIA LORCA, al Teatro Stabile di Catania

di Federico García Lorca, adattamento e regia Lluís Pasqual
con  Lina Sastri (madre, sposa), e con Roberta Amato (moglie di Leonardo)
Giovanni Arezzo (sposo), Ludovico Caldarera (il padre della sposa)
Alessandra Costanzo (vicina, suocera, domestica, vecchia), Elvio La Pira (luna, uomo), Gaia Lo Vecchio (donna), Giacinto Palmarini (Leonardo),
Floriana Patti (morte, donna), Alessandro Pizzuto (uomo), Sonny Rizzo (uomo)

Riccardo Garcia Rubì (chitarra), Carmine Nobile (chitarra), Gabriele Gagliarini (percussioni), coreografia Nuria Castejon.
Scene Marta Crisolini Malatesta, costumi Franca Squarciapino, light designer Pascal Merat, maestro di canto Salvo Disca
aiuto regia Lucia Rocco, assistente alle scene Francesca Tunno
assistente ai costumi Anna Verde.

Produzione Teatro Stabile di Catania, Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale,
Teatro di Napoli- – Teatro Nazionale, Teatro Stabile Palermo

 

Tardarà mucho tiempo en nacer, si es que nace,

un andaluz tan claro, tan rico de aventura.

Yo canto su elegancia con palabras que gimen,

y recuerdo una brisa triste por los olivos.

(Tarderà molto a nascere, se nasce un andaluso così chiaro, cos’ ricco d’avventura. Io canto la sua eleganza con parole che gemono, e ricordo una brezza triste tra gli ulivi.)

Con queste parole Federico Garcia Lorca salutava il suo grandissimo amico torero Ignacio Sanchez Mejias, ma queste stesse parole possiamo usare per ricordare il poeta spagnolo dell’amore e della passione, della lotta e dei sogni, appunto l’andaluso Federico Garcia Lorca.

Il poeta di Granada amava cercare di sondare il mistero dell’animo umano. “La poesia, diceva, è il mistero che hanno tutte le cose. Il teatro è la poesia che si innalza dal libro e diventa umana. E,  diventandolo parla e grida, piange e si dispera. Il teatro ha bisogno che i personaggi appaiano sulla scena, portino un abito di poesia e, al medesimo tempo, si vedano le ossa, il sangue.” (intervista a La voz). Lorca aveva realizzato questa poetica in tutte le sue poesie, nel grande racconto di Romacero gitano e nei numerosi drammi che scrive nel corso di una vita barbaramente troncata dalla fucilata con cui le Squadre Nere lo uccisero il 19 agosto del 1936.

In queste sere in scena in Sicilia, prima a Palermo, al Teatro Biondo, e adesso a Catania al Teatro Stabile, dal 23 al 27 gennaio (dopo il grande successo di Napoli), Nozze di sangue, uno dei testi più conosciuti del drammaturgo, in Spagna sempre rappresentato.

Con la riduzione e la regia di Lluis Pasqual, una compagnia ricca ed eclettica ha proposto il dramma d’amore e di passione, di sangue e di vendetta che il poeta spagnolo scrisse nel 1933, traendo spunto da un fatto di cronaca, e che la critica considererà il suo primo vero successo.

Rispetto al testo originale Pasqual ha operato una riduzione molto incisiva, operando un taglio di circa un terzo con l’obiettivo di scegliere i quadri più significativi del racconto, rendendolo snello, agile, fulmineo pur rischiando qualche vuoto di trama.

La prima importante soluzione trovata dal regista è stata quella di affidare a quel grande istrione che è Lina Sastri il doppio ruolo della sposa e della madre. L’attrice napoletana domina la scena con il personaggio della madre, donna dalla tragicità greca, gravata dall’immenso dolore della perdita del figlio, desiderosa di vendetta e rabbiosa fino allo spasmo, triste al pensiero di restare sola dopo le nozze del figlio che le è rimasto. Poi, con il semplice gesto di sciogliersi i capelli togliendo una forcina, diventa la fidanzata che si approssima alle nozze ma che è, ancora, potentemente attratta dal primo amore, Leonardo, con cui scapperà proprio il giorno stesso delle nozze, provocando l’ira dello sposo e la strage, il sangue del titolo.

La grandezza dell’attrice permette di riconoscere il passaggio da un personaggio all’altro, di entrare in empatia con la madre e la sua disperazione, così pure di comprendere la scelta estrema della giovane che, nel monologo finale, giustifica le ragioni del suo gesto con le parole più belle che un poeta possa usare per spiegare l’istinto della passione, la possessione della mente quando la carne è bruciata dal desiderio. In una sola attrice si contempla il conflitto tra l’essere madre e l’essere donna innamorata.

Erotismo e follia, amore e morte, in un testo di uno spessore e di una melodia interna accattivanti.

Attorno a lei un coro di attori rendono la melodia una polifonia, anche perché la musica è protagonista, dal vivo, di una scena “flamenca” (così l’ha definita la Sastri in un’intervista).

Giacinto Palmarini, che interpreta Leonardo, è un focoso amante, bugiardo con la moglie, seduttore e non curante di nessuna morale; ha dato corpo a una presenza imponente, calda (molto di più di quanto abbiamo recentemente visto nel suo Vronskij in Anna Karenina, sempre allo Stabile).

Altrettanto imponente, seduttivo, ardito e passionale, dolce con la madre, sposo paziente, fino allo svelamento finale, Giovanni Arezzo è ormai attore completo, maturo, che padroneggia i palcoscenici con le più diverse rappresentazioni e sorprende sempre.

La coralità dei personaggi è poi arricchita dalla presenza di una dolcissima figura femminile, la moglie di Leonardo col suo bambino piccolo e con un altro in arrivo, Roberta Amato regala a tutto l’insieme una voce candida e profonda, un canto disperato sul finale e una melodia articolata sulle sue corde vibranti che fanno scaldare il cuore, insieme ai suoi occhi.

Un momento davvero bello, quel dialogo tra la luna e la morte, che Lorca inserisce nel dramma come un inserto lirico che è espressione dei temi a lui più cari e ricorrenti, appunto la morte e la luna, spettatrice d’argento delle nostre vite. I due attori che hanno dato voce a questa allegoria sono qui Elvio La Pira e Floriana Patti.

A commentare le parole del dramma i musicisti che costruiscono l’impianto sonoro di fortissimo impatto con il flamenco che accompagna ogni azione: Riccardo Garcia Rubì, Carmine Nobile, Gabriele Gagliatrini. La coreografia è stata curata da Nurja Castejon.

Di questo spettacolo ci è rimasta una forte emozione, una musica nel sangue, un brivido sottile,  una empatia per tutti i personaggi, pur così diversi fra loro nella storia che incarnano.

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