Dentro l’anima di Pavese: “Vita, colline, libri”: un saggio (Priuli & Verlucca)

E quanti ne generò di lettori, quella morte! E quante edizioni, ricerche, viaggi nelle Langhe, il “pavesianesimo” (Piemonte con lenti americane, Melville, Faulkner, gruppo di amici legati attorno al nome, dramma sessuale dell’impotenza, della frigidità virile […] – marxismo incerto, critico, deluso, – ultima stagione del paesaggio urbano e agricolo sull’orlo dello sparire come centro di un’esperienza umana e letteraria).

Guido Ceronetti

Fulaton, cula bela testa ‘d cavei

(il titolare dell’Hotel Roma, dopo la scoperta del corpo di Pavese)

Poesia per scrittura e musica. Franco Vaccaneo e Mariano Deidda. Il primo è una delle figure più interessanti della musica d’autore contemporanea, non solo italiana. Tra il jazz e la musica da camera, Deidda porta infatti con sé anche la grande tradizione della melodica italiana – da De Andrè a Battiato – con in più qualcosa che è sfuggito ai cantautori: questo incrocio, questa commistione di jazz e tradizione, di recitativo e lirismo. L’altro, saggista e scrittore, è autore di molte pubblicazioni su Pavese (lui stesso è di Santo Stefano Belbo), Fenoglio e sulla letteratura del Novecento, oltre che promotore e organizzatore culturale nella sede della Fondazione Cesare Pavese.

Entrambi ora accomunati da una pubblicazione Cesare Pavese, vita colline libri edita da Priuli & Verlucca che contiene il cd Deidda canta Pavese. Nell’anno che ricorda i settant’anni dal suicidio di Pavese l’appassionata biografia di Vaccaneo e la musica di Deidda costituiscono una testimonianza d’eccezione. Il libro di Vaccaneo è in realtà un itinerario dentro l’anima di Pavese, una ricognizione accurata nei luoghi dello scrittore “senza fare pettegolezzi”: dal paese «metropoli delle Langhe», alle campagne circostanti fino alla scoperta dell’amata-odiata Torino; e ancora l’adolescenza – il suo mondo mutilato dalla morte del padre – gli studi – l’inesausto e affettuosissimo rapporto col suo professore “d’umanità” Augusto Monti – l’amore, l’esilio, la morte infine, quel tragico 27 agosto 1950. Vaccaneo è attento a ricordare momenti significativi per la formazione interiore e letteraria di Pavese, quando ad esempio, sottolinea il soggiorno a Serralunga di Crea, nei cui boschi Pavese passeggia a lungo fino al santuario, alla scoperta del mito di cui quel monte è impregnato. L’amata campagna insomma che avrebbe rappresentato la dimensione «arcaica e primitiva da opporre alla modernità della città». Ma accanto a quella di Pavese, Vaccaneo tratteggia anche la storia tormentata di quegli anni in Italia, la koinè culturale e politica: la temperie all’Einaudi, il mito dell’America, l’arresto, il confino a Brancaleone, e il fatidico 1950: la tempesta Constance Dowling, il “palliativo” della vittoria allo Strega con La bella estate prima dell’epilogo in una stanza dell’Hotel Roma. Un libro dunque arricchito anche da una sezione fotografica che non a caso si chiude con la celebre annotazione sulla prima pagina dei Dialoghi con Leucò.  La seconda parte è quella più sorprendente: Franco Vaccaneo – con immensa discrezione e un pizzico di folle azzardo – si cala nei panni di Pavese, diventando la sua voce – nostalgica e fascinosa – in un ritorno post-mortem che lasciamo ai lettori. Vaccaneo però si spinge oltre, delineando anche una sorta di metodo critico: per lui Pavese è lo scrittore dal “timbro cristallino che sa scandagliare in profondità problematiche esistenziali travasate intatte e non risolte dai suoi ai nostri giorni: la fatica di vivere, il morso della solitudine, il disagio nei rapporti umani, la difficoltà di comunicare.” Per Vaccaneo pur essendo probabilmente l’ultimo dei classici del Novecento, Pavese è ancora «un compagno di strada, che ha saputo dare poesia agli uomini ma solo dopo averne condivise le pene.» E accanto a lui, «amico di oggi e fratello di sempre» cammina anche Mariano Deidda. Una nuvola di capelli gli incornicia un volto dai lineamenti sereni. Ha modi gentili e discreti ma fermi di chi segue il demone che per Mariano Deidda si chiama Pavese – «una felice coincidenza» – si chiama Pessoa, si chiama poesia. La sua vita artistica e musicale è infatti racchiusa da un triangolo: Pessoa (da sardo ha amato moltissimo il Portogallo); Deledda, la grande scrittrice della sua terra che rappresenta le radici e l’identità; Pavese, infine, l’autore per eccellenza della giovinezza e lo scrittore di una terra, il Piemonte, che lo ha ospitato, che lo ha fatto crescere umanamente e professionalmente. E poi Pessoa e Pavese erano accomunati dall’adorazione per Whitman che Deidda legge senza sosta. Deidda canta Pavese è un disco raro: non solo per la qualità degli interpreti – Carlo Simoni e Gianluigi Travesi tra gli altri – ma perché Deidda coi suoi testi entra in Pavese giù a capofitto, «nel suo spazio interiore» (così s’intitolava il suo secondo lavoro dedicato invece a Pessoa) fin nel cuore di un uomo solo, nel cuore dei suoi luoghi, delle campagne solitarie e delle vie deserte di Torino – che tanto potrebbe somigliare a Lisbona – dei suoi vecchi caffè, delle vecchie botteghe dalle quali, incredibilmente, si intravede il Tago e si sognano le Langhe.

Franco Vaccaneo, Cesare Pavese, vita colline libri, Priuli & Verlucca, 2020, Scarmagno, Torino, euro 16,00. Contiene il cd Deidda canta Pavese (special edition).

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